Lo jicama è un tubero originario del Messico appartenente alla famiglia delle Leguminose.
Gli aztechi lo utilizzavano per preparare medicamenti con i semi, il termine stesso deriva dalla parola azteca “xicamalt“. Successivamente venne importato in Asia dagli spagnoli ed è proprio lì che la sua coltivazione ebbe la maggior diffusione.
Esistono due varietà di jicama:
– Amazzonica (pachyrhizus tuberosus): a maturazione può raggiungere i 30 cm di diametro ma a quel punto non è più commestibile in quanto sviluppa grandi quantità di rotenone, una sostanza tossica utilizzata per gli insetticidi. Per poterla mangiare va raccolta quindi intorno ai 2,5 cm di diametro, è molto gustosa e si consuma quasi sempre cruda.
– Messicana (pachyrhizus erosus): è più piccola della varietà Amazzonica, anch’essa si può consumare cruda. La polpa è di colore bianco, croccante ma molto succosa con un gusto dolce molto simile a quello delle castagne d’acqua
In foto: esemplari di jicama appena raccolti.
Lo jicama presenta una buccia di colore marrone chiaro che non è commestibile. Si consuma crudo in insalata, in pinzimonio o condito con succo di lime, chili e sale secondo una ricetta tipica messicana.
Generalmente in cottura si utilizza come una patata. Un volta cotto mantiene la sua croccantezza e può accompagnare carni, frutti di mare, ortaggi, legumi, riso, tofu e quiches. Solitamente si utilizza in piatti in umido proprio per la sua capacità di assorbire i sapori senza perdere la consistenza.
In frigorifero si conserva per circa tre settimane tuttavia andrebbe conservato come le patate in un ambiente fresco e asciutto per allungarne i tempi di conservazione.
Lo jicama è composto per l’85% da acqua e apporta circa 55 Kcal ogni 100 g di prodotto così ripartite: 49 Kcal da Carboidrati (zuccheri) e 6 Kcal da Proteine.